Uccelli da richiamo maltrattati e tenuti in gabbie piccolissime: sei i denunciati
Dalla provincia di Vicenza è partita l’operazione “liberi di volare” contro i maltrattamenti subiti dagli uccelli da richiamo: ha riguardato, in pochi mesi, 450mila uccelli da richiamo e oltre 35mila cacciatori del veneto.
Tra Vicenza, Verona e Treviso le guardie zoofile dell’E.N.P.A con le forze di polizia hanno sequestrato centinaia di uccelli che non solo erano custoditi in ambienti non idonei, ma come hanno potuto certificare le guardie zoofile, erano anche sottoposti a torture come la detenzione al buio e lo spennamento a vivo nei mesi estivi per sfasare il loro ciclo biologico per farli cantare durante il periodo venatorio.
Tre cacciatori e un allevatore vicentini, un cacciatore veronese, un cittadino trevigiano sono stati denunciati per maltrattamento di animali, falsificazione o mancanza di sigilli e violazione delle leggi che tutelano la fauna selvatica.
“Nell’operazione – commenta Renzo Rizzi, ispettore regionale delle guardie dell’Enpa – prima di muoverci abbiamo lavorato molto sulla documentazione da presentare alle Procure, che doveva essere completa e inattaccabile, in modo tale che lo Stato potesse perseguire i reati in quanto tali”.
Il primo caso vicentino è stato rilevato a Sossano alla fine di maggio: gli agenti hanno perquisito il domicilio di un cacciatore ultraottantenne. Sul posto, l’Enpa ha sequestrato una ventina di uccelli detenuti in gabbie piccole e in un locale sporco. La maggior parte degli animali sono risultati feriti, ciechi o mutilati con ali consumate e zampe con tendini lacerati.
In giugno, gli agenti hanno ritrovato una situazione simile a Isola Vicentina dove sono stati ritrovati quattordici uccelli, molti dei quali affetti dalla “rogna delle zampe”, un’infezione dovuta a parassiti che si incuneano sotto la pelle e che distruggono l’arto dell’animale fino alla paralisi dello stesso e alla morte del richiamo.
“A causa della detenzione – spiega Rizzi – hanno sviluppano svariate malattie che non sono mai state curate, nessuno di questi invisibili è mai stato controllato da un veterinario, probabilmente perché non si usa farlo, oppure molto più semplicemente perché il costo della visita e delle cure supererebbe il valore del richiamo, per cui il cacciatore decide di farlo andare avanti finché sopravvive e poi acquista un nuovo richiamo”.
Altri casi simili sono avvenuti a Sarego, Colceresa, Conegliano (Treviso) e Belfiore (Verona). “Quello che lascia sconcertati – commenta Rizzi – è la mancanza di informazione o le informazioni fuorvianti che vengono fornite delle associazioni venatorie. Nei casi esaminati, le persone asserivano infatti di non sapere che questi comportamenti fossero vietati. Durante questi primi sequestri esponenti di spicco delle associazioni venatorie e i loro politici di riferimento hanno dichiarato pubblicamente che non esiste questo problema, che il cacciatore può continuare a comportarsi allo stesso modo. Eppure nei loro siti si trova in bella mostra la giurisprudenza univoca che condanna quei mezzi di tortura”.